INKY, IL POLPO FUGGITO DALL’ACQUARIO PER RITROVARE IL MARE
E’ il 2016 quando all’acquario di Napier, Nuova Zelanda, accade un fatto incredibile.
Un custode della struttura non chiude bene uno dei coperchi dell’acquario e Inky, polpo prigioniero nella vasca, nella notte riesce a sollevarlo, uscire dalla sua cella e ritrovare la libertà.
Passando attraverso un tubo di scarico nel pavimento comunicante direttamente con il mare, Inky ha percorso 50 metri e ha ritrovato il suo oceano, finalmente libero.

(Basta Delfinari)

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IL PESCE: LA SVENTURA DI NON POTER URLARE

di Franco Libero Manco

Chi fu il primo bipede/uomo che considerò lecito varcare la soglia delle acque, profanare la purezza dei mari e predare i suoi abitanti? A quale degradante indifferenza dovette far ricorso per estrarre dal loro mondo le sue creature, portarle nell’emisfero dell’aria e condannarle ad una atroce agonia e alla morte? A quale insensibilità dovette attingere per considerare gli oceani una dispensa dove attingere senza remore, senza limitazioni, senza pudore e senza pietà come fossero sassi inanimati?

            La morte del pesce, in qualunque modo avvenga per opera dell’uomo, è un fatto detestabile, crudele, brutale. Si preferisce pensare  che il pesce non soffra dal momento ché non può emettere urla di dolore come gli animali terricoli quando vengono violentati e uccisi dall’egoismo umano. Ma se noi umani potessimo udire il loro grido quando vengono estratti dal loro mondo naturale, quando vengono dilaniati dagli arpioni o dalle fiocine, quando vengono bolliti, arrostiti, eviscerati ancora vivi, un uragano di terrore coprirebbe la faccia della terra e nessuno più avrebbe il coraggio di uccidere o mangiare le creature del mare. E non basterà  la persuasione dei falsi e bugiardi nutrizionisti televisivi a giustificare davanti alla Vita l’uccisione di miliardi di creature innocenti.

“Vivi e lascia vivere”, questa è la legge dell’amore che ci distingue dagli animali predatori, che sono costretti ad uccidere per esistere. Lasciate stare il mare, rispettate questo grande e meraviglioso specchio di cristallo, questo mondo affascinante e misterioso. Non violentate le sue creature, non macchiate di sangue il candore del mare. Che forse i pesci vengono nelle nostre case a prendere noi e i nostri figli per mangiarci?

            Il pesce, i molluschi, i crostacei non sono cose inanimate, oggetti senz’anima, frutti, patate o sassi senza vita: sono esseri come noi di forma diversa, come noi capaci di sofferenza, di paura, di angoscia. Il dolore è ciò che accomuna tutti i viventi ed è palese quando il pesce si dimena e si contorce nello spasimo cercando inutilmente di ritornare nel suo mondo, nella sua patria.

Gli animali acquatici non sono creature meno sensibili e meno intelligenti degli animali terricoli. Sono dotati di sistema nervoso e accusano come noi il dolore e la paura. L’intelligenza del delfino supera di gran lunga quella del cane, e di molti uomini.

Il pesce è dotato di percezioni sofisticatissime. L’agilità e la velocità con cui si muove nel suo ambiente naturale ha qualcosa di prodigioso. La sua bellezza policroma e multiforme, la perfezione dei suoi occhi in grado di percepire chiaramente nell’ambiente acqueo, la complessità delle branchie e dei suoi sensori ricettivi, la squisita geometria delle sue squame, la gamma pressoché sconfinata dei suoi colori sgargianti, vengono per sempre annientati con la morte dell’animale per soddisfare un falso e degradante piacere gastronomico che profana con il sangue le vostre tavole.

Quale armonia fisica, energetica e spirituale, quale miracolo biologico (risultato di miliardi di anni di evoluzione) viene per sempre annientata con l’ingiusta cattura del pesce?

Il mestiere del pescatore è ancora più ingiusto e crudele di quello del macellaio, come mangiare il pesce è moralmente molto più grave che mangiare carne di animali terricoli. Mentre con la carne di una mucca mangiano cento persone, cento persone che mangiano pesce sacrificano mille pesci, perché la vita non ha valore in base alla mole fisica di una creatura.

Io spero ardentemente che tutti coloro che pescano, vendono o cucinano il pesce, si aprano alla sensibilità e all’intelligenza dell’uomo civile, evoluto, responsabile, compassionevole; imparino a valorizzare, apprezzare e rispettare gli abitanti degli oceani. Da questo verrà la nuova coscienza umana in grado di porre le basi per un mondo finalmente migliore.

COSA VEDI IN QUESTA FOTO?

L’immagine di un corpo umiliato e vilipeso dovrebbe suscitare indignazione e tristezza.
Troppo spesso, invece, questi corpi vengono volutamente ridicolizzati col il fine di far sorridere chi li osserva.
Quando si tratta di pesci, poi, il gioco è fatto: individui così lontani da noi per aspetto e habitat, uniti alla nostra incapacità di capire il loro linguaggio, li rende vittime elette che difficilmente risvegliano l’empatia dei più.
Ma quello che suscitano immagini come questa la dice lunga sulla nostra considerazione degli altri animali, a qualunque specie appartengano.

Basta delfinari

 

IL PESCE: LA SVENTURA DI NON POTER URLARE