Il pensiero di te è diventato dolore che si sovrappone a tante altre sofferenze a cui ho lasciato il tuo, il loro nome: Amarena, Lolita, Johnny… e prima ancora Angelo, Gaia, Pilù, Daniza…
Nomi di esseri senzienti su cui si è scatenata la viltà, la cattiveria, la violenza di chi è privo di qualsiasi etica morale. E rimani lì, così, a fare i conti con quei nomi che erano vite. Con quei nomi che hanno provato a spazzare via con un calcio, uno sparo, un cappio. O a negarne l’esistenza in una vasca, in una gabbia, o a pedate sulla testa. Come se nascondere la propria dappocaggine con la crudeltà di sottomettere un debole fino ad annientarlo, di accanirsi su un animale indifeso, potesse bastare a non far riconoscere in quegli atti, l’assoluta insipienza di un bastardo.

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L’AMORE SECONDO LA VISIONE DELL’UNIVERSALISMO VEGAN

di Franco Libero Manco

Noi che guardiamo con stupore ed occhio amorevole la bellezza dell’alga e della balena, dell’elefante e del moscerino, dell’orchidea e dell’ortica, siamo chiamati a dare testimonianza del nostro amore per la vita, in qualunque forma essa si esprime. Noi non rispettiamo gli animali o la natura perché questo ci torna utile, ma perché lo richiede la legge della Vita, dell’evoluzione e della Coscienza cosmica.

Noi amiamo la Vita, di un amore struggente ed inestinguibile, percepiamo il dolore di ogni vittima innocente e ognuno di noi, muore mille volte al giorno al pensiero della lama che inesorabile spegne per sempre il diritto di esistere di un vitello, un agnello, un coniglio, di un pollo… Per questo non è nella nostra natura essere tiepidi, assolvere coloro che considerano gli animali oggetti a loro uso e consumo: sarebbe come chiedere di non colpevolizzare coloro che fustigavano e uccidevano gli schiavi, o alle vittime dei campi di sterminio di non colpevolizzare i carnefici.

Noi non chiediamo una povertà più dignitosa, ma la sua totale abolizione; non chiediamo guerre meno cruenti, ma la loro cancellazione dalla storia futura; non chiediamo giustizia per gli uomini, ma per tutte le creature in grado di soffrire; non  chiediamo gabbie più grandi per gli animali, più pulite, ma vuote; non chiediamo la riduzione della caccia o della pesca, ma la loro totale eliminazione; non chiediamo la diminuzione del consumo della carne ma la demolizione fino alle fondamenta dei mattatoi; non chiediamo la chiusura degli stabulari dei vivisettori, ma la loro irrevocabile e perenne chiusura.

            Noi siamo la voce di coloro che non possono difendersi: chiederci di non gridare il nostro disappunto è come chiedere ad una madre di tacere  mentre suo figlio viene colpito. Noi non differenziamo gioia e dolore, vita e morte, delitti e benevolenza; non adottiamo due pesi e due misure (questa è la nostra forza e la nostra grandezza morale): per noi un’azione ingiusta resta tale chiunque sia la vittima. Non giudichiamo, sarà la Vita a farlo per noi, ma la nostra coscienza ci impone di affermare che uccidere un animale è fratricidio.

Siamo considerati estremisti, esagerati e certo lo siamo: per noi uccidere uno o centomila è la stessa cosa perché il valore della vita non è nel numero dei suoi componenti; per noi la violenza e l’ingiustizia non è più o meno grave a seconda della vittima; per noi quando viene ucciso un cavallo, un uccello o un abete è una parte di noi che viene ferita, mutilata, uccisa.

Procedere con calma senza infastidire i macellatori di animali ed i guerrafondai? Non è nella nostra visione delle cose. Ma chiedere tutto e subito è follia. Occorre procedere per gradi dando alla gente il tempo di capire, di informarsi, di sensibilizzarsi, perché l’ignoranza è madre di tutte le sventure ed è l’indifferenza verso chi soffre ciò che ha fatto di questo mondo un luogo di dolore.
Molto dipende da noi, dalla nostra volontà, dalla passione e dall’amore con cui conduciamo questa luminosa missione. La nostra causa è nell’ordine evolutivo delle cose, nonostante la deludente realtà che a volte anche i migliori, dopo un primo entusiastico approccio, dimenticano la causa e si eclissano per motivi forse non sempre giustificabili.

La nostra è pura utopia? Utopia era considerare al tempo dei romani l’abolizione dei combattimenti al Colosseo; era pensare di scoprire nuove terre oltre le colonne d’Ercole; era considerare l’unificazione dell’Italia al tempo dei Borboni; era pensare di approdare sulla luna, parlare e vedere in diretta l’immagine di qualcuno all’altro capo del pianeta. Ma un’utopia non si attua in un giorno: è sempre il frutto  sofferto e maturato in un processo evoluivo. Ogni filosofia, ogni dottrina nasce da un seme gettato che col tempo diventa albero e dà i suoi frutti.

Non tutte le utopie sono destinate a diventare realtà: solo se nella loro essenza vive il seme per il bene di tutte le cose: così sarà per l’utopia dell’Universalismo Vegan. Ma affinché le utopie diventino realtà c’è bisogno di gente folle, disposta a credere realizzabile un progetto mai realizzato, ha bisogno di chi sappia immolarsi per il bene di tutte le cose: e come potrebbero le primizie non essere vittime?

Io sarò duro nel denunciare questa cultura di sfruttamento e di sistematico massacro dei più deboli, questa spaventosa indifferenza verso la sofferenza di miliardi di creature innocenti; so di essere nel giusto perché difendo la vita, la civiltà, il progresso morale, civile e spirituale; non scenderò a compromessi con la mia coscienza, non sarò edulcorato, non celerò la verità dei fatti. Parlerò con garbo, gentilezza ma con determinazione; informerò, sensibilizzerò il cuore della gente, sempre ed ovunque, e sarò ascoltato.

„Sentirsi come i gatti, che vivono beati perché non se ne fregano niente di nessuno, badano solo alla ricerca della loro posizione perfetta e soddisfacente sul territorio. Hanno risolto il problema senza neanche conoscerlo. Un privilegio inaccessibile agli esseri umani“ —
Paolo Sorrentino
L’AMORE SECONDO LA VISIONE DELL’UNIVERSALISMO VEGAN