“Perché amo gli animali?
Perché io sono una di loro.
Perché io sono la cifra indescrivibile dell’erba, il panico del cervo che scappa, sono oceano grande e sono il più piccolo degli insetti.
Io conosco tutte le creature.
Sono perfette in questo amore che corre sulla terra per arrivare a te.”

(Alda Merini)

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L’argine inquieto

di Licia Satirico

Sono nata in una terra in cui il confine tra vivi e morti è sempre stato fluttuante: i morti continuano a visitare i vivi in una comunione reale di cibo e chiacchiere nell’ultimo sole d’autunno, i vivi fanno talora prove generali di morte con esiti quasi soddisfacenti.

Da bambina restavo allibita nel vedere le lapidi dei viventi: è usanza di molti, anziani e giovani, comprare loculo e lapide prima del tempo per scegliere la propria immagine definitiva.

I cimiteri pullulano di foto color seppia su lapidi incompiute, dove è indicata solo la data di nascita: quel trattino cruciale, che racchiude e liquida come un codice tutto ciò che siamo stati, è ancora sospeso nel vuoto.

Qualcuno, per eccesso di zelo, si porta anche fiori preventivi, nel timore di una desolante solitudine postuma che stringe il cuore.

Ai morti si parla raccontando la vita, cancellando il silenzio che qui nemmeno i laici credono perenne.

E i morti tornano una volta l’anno, portando dolcetti di pasta di mandorle e candidi biscotti. Portano anche giocattoli ai bimbi, mentre si aggirano fragili tra la realtà superstite ottusa e rassicurante. A volte rivelano i numeri e sussurrano segreti.

I morti di morte violenta sono i più attesi.

Chi vive in quest’isola amara sa che ci sono morti che non si seppelliscono mai e arrivano a frotte ingestibili, confusi e offesi. Arrivano gli annegati, gli oppressi, i morti ammazzati, i morti perché si trovavano nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Attraverso ogni anno i confini del reale per immergermi in un giorno in cui non essere diventa ossimoro e ci libera per un attimo dall’ossessione del futuro, metastasi della vita. Conservo ogni oggetto affidatomi dal tempo, certa che un giorno – in modi che ancora non conosco – dovrò restituirlo.

Dei miei cari porto nel cuore libri, musica, quaderni, sciarpe e orologi. Nessuno di loro segna l’ora esatta.

Esistono momenti giusti e sbagliati: gli orologi dei miei nonni si sono fermati su quelli perfetti. Le sciarpe servono, perché quando i morti appaiono in sogno fa sempre freddo. Quaderni, musica e libri sono le mappe da decifrare per ritrovarsi.

Quando sarò spettro, mi rintanerò tra le pagine del Maestro e Margherita per meritare la pace: so che è un’usanza poco sicula, ma sono capace di immaginare luoghi oltretombali degni solo nei romanzi russi.

La vita è la cura, l’unica, di una malattia che si contrae con la nascita e che non conosce remissione. Forse è per questo che i fantasmi insostenibili restano quelli dei vivi: i Grandi Assenti non portano dolci né conforto e non si possono nemmeno seppellire.

I loro ricordi sono stati uccisi, la tenerezza è scomparsa, il rimpianto è un fiume carsico che scorre al centro della terra e non ha nocchiero.

Sono i veri morti: per loro non c’è festa, perché la morte vivente non prevede ritorni. Ed è, tra tutte, la più dolorosa.

Merini

Il 1 novembre del 2009 ci lasciava Alda Merini ricordiamola con questa splendida poesia

Non ho bisogno di denaro

Non ho bisogno di denaro,

Ho bisogno di sentimenti.

Di parole, di parole scelte sapientemente,

di fiori, detti pensieri,

di rose, dette presenze,

di sogni, che abitino gli alberi,

di canzoni che faccian danzar le statue,

di stelle che mormorino all’orecchio degli amanti…

Ho bisogno di poesia,

questa magia che brucia le pesantezza delle parole,

che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.

L’argine inquieto
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