E uccelli, uccelli, uccelli,
col ciuffo, con la cresta, col collare:
uccelli usi alla macchia, usi alla valle:
scesi, dal monte, reduci dal mare:
con l’ali azzurre, rosse, verdi, gialle:
di neve, fuoco, terra, aria le piume:
con dentro il becco pippoli e farfalle.
(Giovanni Pascoli)

LIBERACTION

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L’ETICA DELL’UNIVERSALISMO VEGAN

di Franco Libero Manco

Noi universalisti/vegan, che guardiamo con occhio amorevole e con stupore la bellezza dell’alga e della balena, dell’elefante e del moscerino, dell’orchidea e dell’ortica, abbiamo una missione da compiere: quella di contribuire a rendere migliore questo mondo, e questo è possibile  solo rendendo migliore l’essere umano, più responsabile delle sue azioni, libero dalla violenza, dalla malattia, dall’ignoranza.

Noi non chiediamo una povertà più dignitosa, ma la sua totale abolizione; non chiediamo guerre meno cruenti, ma la loro cancellazione dalla storia presente e futura; non chiediamo giustizia per gli uomini, ma per tutte le creature in grado di soffrire; non  chiediamo gabbie più grandi per gli animali, più pulite, ma vuote; non chiediamo la regolamentazione della caccia o della pesca, ma la loro totale abrogazione; non chiediamo la riduzione del consumo della carne ma la demolizione fino alle fondamenta dei mattatoi; non chiediamo la chiusura degli stabulari dei vivisettori, ma la loro irrevocabile e perenne chiusura.

            Noi amiamo la Vita, di un amore struggente ed inestinguibile; percepiamo il dolore e il dramma di ogni vittima innocente e ognuno di noi, muore mille volte al giorno al pensiero della lama che inesorabile spegne per sempre l’anelante desiderio di esistere di un vitello, un agnello, un coniglio…; per questo non è nella nostra natura essere tiepidi, assolvere coloro che considerano gli animali oggetti ad uso e consumo dell’uomo: sarebbe come chiedere agli antischiavisti di non colpevolizzare coloro che li fustigavano e li uccidevano, o alle vittime dei campi di sterminio di non colpevolizzare i loro carnefici. 

            Noi siamo la voce di coloro che non possono difendersi: chiederci di non gridare il nostro disappunto è come chiedere ad una madre di non urlare mentre suo figlio viene colpito. Noi non differenziamo gioia e dolore, vita e morte, crimini e delitti; non adottiamo due pesi e due misure (questa è la nostra forza e la nostra grandezza morale): per noi un’azione criminosa resta tale chiunque sia la vittima. Non giudichiamo, sarà la Vita a farlo per noi, ma la nostra coscienza ci impone di affermare che uccidere anche un animale è sempre fratricidio.

Siamo considerati estremisti, esagerati e certo lo siamo: per noi uno o centomila è la stessa cosa perché il valore della vita non è inversamente proporzionale al numero dei suoi componenti; per noi la violenza e l’ingiustizia non è più o meno grave a seconda della vittima; per noi quando viene ucciso un cavallo, un uccello o un abete è parte di noi che viene uccisa.

Procedere con calma senza infastidire i macellatori di animali ed i guerrafondai? Non è nella nostra visione delle cose. Ma chiedere tutto e subito è follia. Occorre procedere per gradi dando alla gente il tempo di capire, di informarsi, di sensibilizzarsi, perché se l’ignoranza è madre di tutte le sventure è l’indifferenza verso chi soffre ciò che ha fatto di questo mondo un luogo di dolore. Molto dipende da noi, dalla nostra volontà, dalla passione e dall’amore con cui conduciamo questa luminosa missione. La nostra causa procederà inevitabilmente, è nell’ordine evolutivo delle cose, nonostante la deludente realtà che a volte anche i migliori, dopo un primo entusiastico approccio, dimenticano la causa e si eclissano per motivi forse non sempre giustificabili.

Utopia era considerare al tempo dei romani la eliminazione dei combattimenti al Colosseo; era pensare di scoprire nuove terre oltre le colonne d’Ercole; era considerare l’unificazione dell’Italia al tempo dei Borboni; era pensare di approdare sulla luna, parlare e vedere in diretta l’immagine di qualcuno che si trova all’altro capo del pianeta. Ma un’utopia non si attua in un giorno: è sempre il frutto  sofferto e maturato di un processo evoluivo. Ogni filosofia, ogni dottrina nasce da un seme gettato che col tempo diventa albero e dà i suoi frutti. Non tutte le utopie sono destinate a diventare realtà: solo se nella loro essenza vive il seme per il bene di tutte le cose: così sarà per l’utopia vegana. Ma affinché le utopie diventino realtà c’è bisogno di gente folle, disposta a credere realizzabile un progetto mai realizzato.

Io sarò duro nel denunciare questa cultura di sfruttamento e di sistematico massacro dei più deboli, questa spaventosa indifferenza verso la sofferenza di miliardi di creature innocenti; so di essere nel giusto perché difendo la vita, la civiltà, il progresso morale, civile e spirituale; non scenderò a compromessi con la mia coscienza, non sarò edulcorato, non celerò la verità dei fatti. Parlerò con garbo, gentilezza ma con determinazione, informerò, sensibilizzerò il cuore della gente, sempre ed ovunque… e sarò ascoltato.

Il fine dell’antispecismo non è ridurre la sofferenza degli animali, ma innanzitutto riconoscere lo specismo e quindi combatterlo.
È da questa particolare ottica che si può stabilire se determinate iniziative graduali siano valide o meno. Quelle che occultano lo specismo, rendendo lo sfruttamento animale ancora più invisibile, rassicurante, normalizzato, non lo sono.
Ed è per questo motivo che l’iniziativa di non far nascere i pulcini maschi, peraltro dando tutto il tempo alle aziende di mettersi in regola e di attutire i costi delle macchine per la selezione degli embrioni, non può essere vista come positiva per gli scopi che ci prefiggiamo in quanto antispecisti.
Le aziende comunque sono le prime a spingere sulla pubblicità positiva dell’inganno del benessere animale senza che ci sia bisogno di aiutini da parte delle associazioni animaliste.
Alcune persone ingenuamente si rammaricano che questa riforma avverrà, se approvata anche dal Senato, solo tra cinque anni.
Altri, forse ancora più ingenuamente, rispondono: “Dobbiamo dare tempo alle aziende di prepararsi e di riorganizzare la produzione”.
Come può una persona che si definisce antispecista dare una risposta di questo tipo “dare tempo alle aziende di riorganizzare la produzione”?
Per produzione si intende quella delle uova. Mica di alimenti vegetali!
Cioè, dobbiamo dare tempo alle aziende di continuare a sfruttare animali, solo con un po’ meno di crudeltà perché non nasceranno i pulcini.
Qui non siamo più nemmeno lontanamente vicini al concetto di antispecismo, che come tale dovrebbe combattere lo specismo.
Siamo nel campo del riduzionismo e protezionismo puro. Roba che va avanti da 50 anni e che non ha portato ad alcun progresso per gli animali.
L’ETICA DELL’UNIVERSALISMO VEGAN