Nella foresta dei grandi alberi un giorno scoppiò un incendio che si espanse verso il cielo e tutt’intorno. Gli animali fuggirono verso la cima della montagna innevata fatta eccezione per il colibrì che invece si diresse verso il lago.
Raggiunta l’acqua il colibrì iniziò a riempire il becco d’acqua andando avanti e indietro, dal fiume all’incendio, per poi raggiungere nuovamente il lago e tornare indietro con altra acqua.
Pur essendo così piccolo e apparentemente indifeso, il colibrì dimostrò un grande coraggio ma il leone, re della foresta, gli domandò:
“Che pensi di fare con una goccia d’acqua?”.
Il colibrì rispose:
”Sono la goccia d’acqua che porto in dono”.
Il leone rispose che non sarebbe mai riuscito a spegnere l’incendio con quella quantità minima di acqua ma il colibrì replicò:
“Forse, ma faccio la mia parte”..
[Antica Leggenda Peruviana]

Felines

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IL DOLORE NEGATO DELL’ANIMALE

di Franco Libero Manco

Il cacciatore spara ad un uccello, la micidiale fucilata gli frantuma parte del corpo ed un’ala e geme in un dolore incomprensibile senza possibilità di essere aiutato, perché ogni animale è solo nell’universo. Immaginiamo un essere umano che ha subito lo stesso danno: un colpo di fucile gli ha spappolato un braccio e il torace ed è solo in un deserto senza possibilità di aiuto mentre  spasimante vede la morte avvicinarsi. La stessa sorte di un pesce dilaniato da un arpione, dall’amo, issato nelle reti a morire d’asfissia, bollito vivo o arrostito ancora vivo su una piastra infuocata o spasimare nel ghiaccio del bancone.

Immaginiamo un vitellino separato dalla madre dopo poche settimane di vita e relegato in una gabbia metallica dove non ha possibilità di muoversi, di vedere la luce del sole, l’erba dei prati. Proviamo ad immaginare la stessa sorte ad un bambino nato in un ascensore e costretto a vivere nei suoi stessi escrementi e dove gli è negato il latte ed il contatto materno e la sua indomabile necessità di correre, giocare. La stessa sorte è quella di una scrofa in una gabbia grande quanto il suo corpo con i piccoli attaccati alle mammelle che subiranno lo stesso destino.

La vita media di una mucca è di 25-30 anni, ma una mucca destinata a produrre latte dopo 5 anni viene condotta al macello, cioè ad un quinto della lunghezza della sua vita naturale che è come se una bambina di 13 anni appena fertile venisse ripetutamente ingravidata costretta a partorire a ripetizione finché spompata ed esausta viene uccisa, cioè all’età di appena 18 anni.

Per capire la paura, l’angoscia, il terrore che prova un animale caduto sventuratamente nelle mani dell’uomo bisognerebbe subire la stessa sorte? Che razza di umano è quello che con  mostruosa non curanza macina vivi i teneri pulcini appena nati non adatti alla produzione di uova?  Pensiamo agli agnellini, ai conigli, alle oche, ai tacchini, ai polli, ai tori nelle arene per divertire un pubblico retrogrado assetato di sangue e di violenza, ecc. ecc.

Se nelle periferie delle città vi fossero campi di sterminio di esseri umani considerati di serie b, fatti nascere e crescere in una condizione infernale per poi essere squartati e mangiati; se si accettasse questa orrenda ipotesi il danno che ne deriverebbe sulla mentalità  e sulla coscienza sarebbe devastante. Considerato che la medesima sorte è applicata agli animali, capaci come gli umani di avere sentimenti, di provare dolore, angoscia, terrore, accettare, condividere e richiedere questa realtà genera inevitabilmente una mentalità di egoismo, di distruzione, di disprezzo verso la vita e verso  il dolore in senso lato.

Con questa mentalità e coscienza comune come si può sperare che l’umanità si liberi delle guerre e della violenza personale? La sua natura è pregna di insensibilità e mancanza di compassione e finché non la smetterà di assoggettare e sterminare ogni forma di vita dovrà solo rassegnarsi a subire lo stesso inferno che causa agli animali.

Il concetto disarmante è se l’essere umano non ha rispetto e compassione dei suoi simili non si può pretendere che l’abbia per gli animali. Questo l’errore più grosso dell’essere umano, quello di non capire che dall’abitudine a non considerare la sofferenza del diverso (fisicamente) viene la tendenza agli umani di non avere pena neanche per i suoi simili.

L’incanto, pulito, semplice, quello che non cerca di impressionare nessuno. Che è tale e basta. La meraviglia. Di fronte alla volgarità del mondo. A questo presente insipido e sbiadito.

Silvia Bandini

 

IL DOLORE NEGATO DELL’ANIMALE