“La sola vista di una bistecca ormai mi ripugna, l’odore di una che cuoce mi dà la nausea e l’idea che uno possa allevare delle bestie solo per assassinarle e mangiarsele mi ferisce.”
(#TizianoTerzani, “Un altro giro di giostra” )
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BRAVI, INNOMINATI E AZZECCAGARBUGLI
DAGLI DAGLI, DAGLI ALL’UNTORE
Il prof Giorgio Agamben, classe 1942 e quasi mio coetaneo, è un noto filosofo ed accademico italiano. Mi ha segnalato un suo articolo dell’11 marzo l’amico Carlo Cruciani di Ascoli Piceno, e ve lo ripropongo in forma sintetizzata ma quasi identica all’originale.
Contagio – di Giorgio Agamben (sintesi e sottotitoli di vv)
Una delle conseguenze più disumane del panico voluto e cercato sta nella stessa idea di contagio, insita nelle eccezionali misure di emergenza adottate dal governo. L’idea, del tutto estranea alla medicina ippocratica, ha il suo primo inconsapevole precursore nelle pestilenze che fra il 1500 e il 1600 devastano alcune città italiane. Si tratta della figura dell’untore, immortalata da Alessandro Manzoni tanto nel suo romanzo “I Promessi Sposi” che nel saggio sulla Storia della colonna infame.
GRIDA MILANESE AUTENTICA DEL 1576
Una “grida” milanese per la peste del 1576 li descrive in questo modo, invitando i cittadini a denunciarli: «Essendo venuto a notizia del governatore che alcune persone con fioco zelo di carità e per mettere terrore e spavento al popolo ed agli abitatori di questa città di Milano, e per eccitarli a qualche tumulto, vanno ungendo con onti, che dicono pestiferi e contagiosi, le porte e i catenacci delle case e le cantonate delle contrade di detta città e altri luoghi dello Stato, sotto pretesto di portare la peste al privato ed al pubblico, dal che risultano molti inconvenienti, e non poca alterazione tra le genti, maggiormente a quei che facilmente si persuadono a credere tali cose, si fa intendere per parte sua a ciascuna persona di qual si voglia qualità, stato, grado e conditione, che nel termine di quaranta giorni metterà in chiaro la persona o persone ch’hanno favorito, aiutato, o saputo di tale insolenza, se gli daranno cinquecento scuti…»
I PROVVEDIMENTI ODIERNI SONO UNA FOTOCOPIA
Fatte le debite differenze, gli ultimi decreti governativi trasformano di fatto ogni individuo in un potenziale untore, in un terrorista potenziale passibile non solo di multe fino a 3000 euro, ma persino di 5 anni di prigione. Particolarmente invisa è la figura del portatore sano o precoce, che contagia una molteplicità di individui senza che ci si possa difendere da lui, come ci si poteva difendere dall’untore.
ABOLIZIONE DEL PROSSIMO E DI TUTTI GLI AFFETTI, E SIMULTANEA IMPOSIZIONE DELLO SCHIFO PER L’ALTRO
Ancora più tristi delle limitazioni delle libertà implicite nelle disposizioni è la degenerazione dei rapporti che esse possono produrre. L’altro uomo o donna o bambino (o animale per alcuni), chiunque egli sia, anche una persona cara, non dev’essere né avvicinato né toccato e occorre anzi mettere fra noi e lui una distanza che per alcuni è di un metro, ma dagli ultimi suggerimenti dei cosiddetti esperti dovrebbe essere di 4,5 metri.
Il nostro prossimo non esiste più, è stato abolito. Data l’inconsistenza etica dei nostri governanti, tutto rientra nei piani previsti di chiudere una buona volta le università e le scuole per fare soltanto lezioni online, smettendo di riunirsi per ragioni politiche o culturali, e scambiando messaggi digitali dovunque possibile, ricorrendo a strumenti e macchine in grado di sostituire ogni contatto, e quindi ogni contagio fra esseri umani e fra creature del pianeta.
INSELVATICHIMENTO SOCIALE E ABBRUTIMENTO DEGLI ANIMI
In aggiunta alla Grida milanese citata da Agamben, va rilevato che Manzoni si documentò con il De peste Mediolani di Giuseppe Ripamonti, dove si pone l’accento sulle conseguenze sociali della peste:
“Serrati, per sospetto e per terrore, tutti gli usci di strada, salvo quelli che fossero spalancati per esser le case disabitate, o invase; altri inchiodati e sigillati, per esser nelle case morta o ammalata gente di peste; altri segnati d’una croce fatta col carbone, per indizio ai monatti, che c’eran de’ morti da portar via: il tutto più alla ventura che altro, secondo che si fosse trovato piuttosto qua che là un qualche commissario della Sanità o altro impiegato, che avesse voluto eseguir gli ordini, o fare un’angheria.
Per tutto cenci e, più ributtanti de’ cenci, fasce marciose, strame ammorbato, o lenzoli buttati dalle finestre; talvolta corpi, o di persone morte all’improvviso, nella strada, e lasciati lì fin che passasse un carro da portarli via, o cascati da’ carri medesimi, o buttati anch’essi dalle finestre: tanto l’insistere e l’imperversar del disastro aveva insalvatichiti gli animi, e fatto dimenticare ogni cura di pietà, ogni riguardo sociale!”.
MERITA A QUESTO PUNTO UNA BREVE CARRELLATA TRA GLI EPISODI STORICI PIÙ NOTI DEL PASSATO
Occorre dire che, quando Alessandro Manzoni scrisse I Promessi Sposi, la letteratura classica era già ricca di racconti di pestilenze e contagi. Basta prendere in mano il Decamerone di Giovanni Boccaccio per capire come, di fronte alla peste catastrofica del 1349, parte della popolazione reagì allo sconforto e alla paura trasferendosi in campagna, nel tentativo di esorcizzare la tragedia attraverso la beffa, i racconti piccanti, le novelle licenziose.
Per Boccaccio, Firenze era tutto un sepolcro. Francesco Petrarca fuggì da quegli orrori e si rifugiò in luoghi isolati e salubri. La mortalità citata a quei tempi era del 90%, mentre gli studi attuali la ridimensionano al 50%. Nel 1348-1349 Firenze si ritrovava ridotta da 90000 a 45000 persone, e Siena da 42000 a 15000.
SCENARI APOCALITTICI E SBIGOTTIMENTO GENERALE
Si parlava di miasmi provenienti dal sottosuolo e liberati dai terremoti, di scarse condizioni igieniche, di presenza di scolmatori e di immondezzai a cielo aperto, tutti cose normali nelle città del Trecento.
Nei lazzaretti le persone erano tenute sotto osservazione e in condizioni di quarantena. Il seppellimento dei morti avveniva in fosse comuni cosparse di calce e localizzate lontano dalle mura cittadine, non prima di aver bruciato tutti i vestiti appartenuti alle vittime. Non mancavano assurde cacce agli untori, a vagabondi-mendicanti-emarginati.
SIA L’ILIADE DI OMERO CHE LA BIBBIA DEI CRISTIANI NE PARLANO
Le grandi paure portano date vecchie di 3000 anni. Già nell’Esodo, 2° libro della Torah ebraica e della Bibbia Cristiana si narra di Mosè che porta al Faraone l’annuncio dei 10 flagelli che si abbatteranno sull’Egitto, tra cui la peste sul popolo egiziano e su tutti i suoi animali.
Nel libro dei Numeri, sempre della Bibbia, si cita una pestilenza che uccise 24000 persone. Pure nell’Apocalisse, ultimo libro del Nuovo Testamento, si descrivono le visioni di San Giovanni che prefigurano la fine dei tempi tramite i flagelli che si abbattono su cielo e terra per mano di dio. Omero, nell’Iliade, descrisse un «feral morbo», una punizione divina del dio Apollo che colpisce i greci per colpa di Agamenonne, reo di aver offeso il sacerdote Crise.
LA PESTE DECIMÒ PURE ATENE
La peste era sempre intesa come punizione alle trasgressioni degli uomini. Nella tragedia “Edipo Re” di Sofocle (496-408 a.C), poeta e drammaturgo ateniese, si descrive la pestilenza che si abbatté sulla città di Tebe. Nei resoconti storici di Tucidite e di Lucrezio viene descritta la peste che decimò Atene nel 430-426 a.C, uccidendo lo stesso Pericle che aveva voluto la Guerra del Peloponneso e l’egemonia ateniese nel Mar Egeo. Nel 224 a.C la peste sconvolse pure intere zone della Cina.
DIVERSI EPISODI DI EPIDEMIE IN ROMA ANTICA
Tacito nei suoi Annales documentò l’epidemia del 65-66 d.C. che colpì Roma. Procopio di Cesarea nella sua Storia segreta scritta nel 550 d.C. narrava di quella che diventerà nota come la peste dell’imperatore bizantino Giustiniano che colpì sempre Roma. Importante pure la testimonianza del medico Galeno di Pergamo, sulla peste tra le truppe bizantine stanziate ad Aquileia nel 168-69.
I FLAGELLI MEDIEVALI
Nel 541 d.C la peste flagellò Costantinopoli, partendo dalla solita Asia, attraversando l’Egitto e giungendo in Europa. Si parla di 5000-10000 morti al giorno nella città sul Bosforo. Nel VII secolo la malattia scomparve dall’Europa, per ripresentarsi come un flagello epocale nel XIV secolo, per poi tornare ciclicamente. La peste nera si presentava con enormi pandemie che distruggevano la popolazione di intere città europee.
Dal IX secolo l’Europa intraprese un percorso di ripresa, facilitato dal buon clima. A metà del X secolo i ghiacci polari cominciarono a sciogliersi rendendo possibili i viaggi dei Vichinghi verso Islanda, Groenlandia, America e persino sul Mar Nero. I secoli XI-XIII furono di sicuro i più felici della storia europea, con calo mortalità infantile, formazione di nuovi centri urbani, allargamento delle cinte murarie, straordinario incremento dei traffici e degli scambi.
LA PESTE NERA O PESTE BUBBONICA PROSEGUE NEL SEICENTO
Nel 1347 colpisce di nuovo Costantinopoli, Nord Africa e poi Messina, estendendosi in Italia-Francia-Inghilterra-Europa nei 3 anni successivi, con la morte del 40% della popolazione. La Peste Nera del ‘300 resta la più documentata perché estesa all’intero bacino Mediterraneo.
Ci furono altri 20 rigurgiti annuali di peste dal 1360 al 1667, oltre che alcune code pestilenziali che colpirono Londra e l’Inghilterra nel 1664-66 e Marsiglia nel 1720, che vide dimezzata la sua popolazione. Per non dire delle pesti secolari di pellagra, scorbuto e beri-beri, tutte totalmente tossiche e mai microbiche.
La più grande peste più vicina a noi fu decisamente la Influenza Spagnola del 1918-19, con milioni e milioni di vittime in Europa e in America. Ma oggi veniamo a sapere con assoluta certezza che non era una peste e che non era contagiosa, come non erano contagiose tutte le pesti bubboniche del passato antico e presente.
IL BEN ALTRO LO CONOSCIAMO BENISSIMO
Di cosa si trattava allora? Non di peste e non di contagio ma di ben altro. Ben altro che era la sporcizia, la miseria, le paure, l’insicurezza, l’essere alla mercé di barbari invasori, l’essere schiavi di padroni arroganti e violenti, di bigottismo religioso, di fanatismo ecclesiastico, di agglomerati urbani congestionati e privi di acqua corrente, di analfabetismo, di credenze superstiziose.
L’uomo insomma era vulnerabile 1000 volte più di quanto non possa essere oggi. Non a caso il prototipo dei personaggi seicenteschi soggetti a queste rovinose paure, capace di incarnare tutta questa ansia del dover sopravvivere in mezzo ai pericoli dei bravi, dei briganti, della peste, dei monatti, degli untori, dei lazzaretti, dell’Innominato e degli Azzeccagarbugli, rimane alla fine un prete persino comico come Don Abbondio, specialista a tremare e a vivere in mezzo all’ansia e alla paura continuata.
MARCHIATI DALLA PESTE MA SOPRATTUTTO DA CHI CI STA CAMPANDO SOPRA
In un certo senso, le terrificanti morie collettive della storia hanno lasciato un segno indelebile nella popolazione, una tendenza a vedere il nemico e il pericolo in ogni angolo. Ma tutto questo non è un buon alibi per giustificare il panico creato oggigiorno.
Sappiamo benissimo che tutte queste pesti qui accennate erano inquadrabili in patologie oggi ben conosciute come il vaiolo, la malaria, la lebbra e altre ancora. Ci si potrebbe liberare da tutti questi mali essendoci sviluppati ed evoluti.
I BRAVI, GLI INNOMINATI E GLI AZZECCAGARBUGLI NON SONO AFFATTO SCOMPARSI DALLA CIRCOLAZIONE
Ma restando nelle mani di altri bravi, più ancora prepotenti ed egoisti di quelli di allora, e restando nelle mani di presunti scienziati e di sacerdoti della salute più ancora ignoranti e inaffidabili di allora, rimaniamo in balia di noi stessi e di chi ci sta dirigendo a bacchetta.
La popolazione italiana di oggi, copiata poi dal mondo intero, si sta comportando per molti aspetti con lo stesso spirito tremebondo ed arrendevole di Don Abbondio, di fronte alle obbedienze che gli vengono imposte e di fronte alle assurdità che gli vengono insegnate.
SPEZZIAMO UNA VOLTA PER SEMPRE LE CATENE DELL’IGNORANZA
Il peggiore virus della storia era e rimane la Signora Ignoranza. L’unico contagio esistente rimane la Signora Ignoranza. L’ignoranza viene sapientemente irrorata dall’alto grazie ai falsi maestri e ai falsi profeti di sventura.
Liberiamoci al più presto di queste catene. Se non sconfiggiamo del tutto questa ipnosi collettiva, nessuno ci salva. Siamo davvero di fronte a una scelta epocale. Non tutto il male viene per nuocere. Per paradosso questa sosta forzata impone a ognuno di riflettere e di migliorare.
Nessuno si attenda che il Regime Sanitario attuale molli l’osso e cambi la sua struttura totalitaria e dittatoriale. Se vogliamo vivere sotto dei satrapi che ci impongono farmaci e vaccini e pillole di integratori al posto dei cibi sani che Madre Terra continua nonostante tutto a regalarci, dipende da ognuno di noi.
Valdo Vaccaro
“Oggi sappiamo per certo, ma lo abbiamo istintivamente sempre saputo, che gli #Animali soffrono esattamente come gli esseri umani. Le loro emozioni e la loro sensibilità sono spesso più forti di quelle umane. Diversi filosofi e capi religiosi hanno cercato di convincere i loro discepoli e seguaci che gli animali non sono altro che macchine senz’anima, senza sentimenti. Chiunque però abbia vissuto con un animale – sia esso un cane, un uccello o un topo – sa che questa teoria è una sfacciata menzogna, inventata per giustificare la crudeltà.”
– Isaac Bashevis Singer –