Meat the Truth italiano

IL TUO FUTURO, E QUELLO DELL’INTERO PIANETA, NON DIPENDE TANTO DA PROBABILI GUERRE NUCLEARI

O DA QUALUNQUE CATACLISMA NATURALE MA DA QUELLO CHE OGGI PORTERAI A TAVOLA

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CINEFORUM IN SEDE AVA Meat the Truth italiano

Domenica 27 ottobre alle ore 18,00, piazza Asti 5/a Roma,

proiezione del filmato MEAT THE TRUTH: la verità scomoda sul riscaldamento globale.

Una toccante e drammatica denuncia di Al Gore premio Nobel per la pace, sulla situazione cui versa l’intero pianeta

a causa consumo di carne e degli allevamenti intensivi.

Seguirà libero dibattito sui contenuti.

A seguire, pantagruelica spaghettata con insalata, pane, vino, acqua, olive.

Partecipazione libera e gratuita.

Il contributo per chi resta per la cena è di 5 euro.

 

vitelli

Una novella: Il piccolo recinto

Pomeriggio. Quasi sera.

I raggi del sole penetrano, ormai stanchi, tra i rami dei larici centenari, infrangendosi sulle acque cristalline di un laghetto montano. Sembra quasi che i rami si immergano per ricevere nutrimento. Fresco. Un leggero vento fa increspare la superficie, creando, a tratti, piccoli movimenti, delle dimensioni dei miei passi. Passi semplici, passi dimenticati. Pieghe accennate, osservate a distanza, si riflettono su ombre rapide come il vento d’altura. Sono le rondini. Come elettricità, planano fino a toccare l’acqua. Istanti. Momenti rari, sognanti. Poi, si levano in verticale verso il cielo, puntando in una direzione; Insetti: la loro caccia. Poco distante, in direzione della conca, una malga. E un piccolo recinto. Vitelli spaesati, appena nati, riposano in quel piccolo recinto. I loro musi, come quadri dipinti da un pittore bambino, annoiati, forse spaventati, forse di resa. Ma non ne sono sicuro. Mi chiedo il perché ci siano solo cuccioli, poi comprendo. La malga offre da mangiare ai turisti e, quale biglietto da visita migliore. Fa piacere vedere delle miniature viventi. Sorridono i bimbi, i genitori sereni si convincono. La malga è piena di gente distratta. Solo un ragazzo invecchiato, che mi somiglia, maledettamente, se ne sta in disparte, sui bordi del lago. E’ stranamente triste. Assorto in pensieri più grandi di lui. Molto più grandi. Le voci dei commensali si elevano sopra le piante, canti e allegria, urla infantili,corse verso il piccolo recinto. Fuori, a duecento metri, il ragazzo non canta, si sforza di inseguire le voci di festa ma non riesce. Guarda le rondini. Ali libere e fugaci. Libertà totale senza compromessi. La bocca accenna a un riso, ma è un istante, il riso è amaro, sono secoli che non conosce il dolce dell’acero. Amaro, come il piccolo recinto. “Dove sono le vostre madri? Piccoli, indifesi, lo sentite il profumo dell’erba?”, pensa il ragazzo con la barba bianca. No, non lo sentono. Il piccolo recinto è costruito su nuda terra. Canzoni di altri tempi, fiumi di birra e bambini. Tanti quanto i vitelli. Il ragazzo si alza, un ultimo sguardo alle rondini, all’imbrunire, vuole andare via ma, le gambe non lo ascoltano. Bloccate ai raggi del sole che si addormentano sul piccolo recinto. Quasi a scaldarlo, a proteggerlo. Le rondini giovani giocano a un filo d’erba di distanza da altri giovani, musi che non conoscono quel meraviglioso passatempo. Un tempo che passa tra la gioia infinita e la tristezza millenaria. Finalmente le gambe lo lasciano andare, è curvo, un vecchio ragazzo curvo da sensazioni incomprese. Un folle tra le risate, uno scemo del villaggio che sospira guardando le rondini. E schernito, piange al piccolo recinto. “Viva la vita!”, dice il ragazzo, “Viva la vita a chi può permetterselo”, ripete in sussurro.

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Buio. Quasi notte.

Le rondini riposano, stanche dello svago perfetto e armonioso. Gli insetti continuano la ricerca di qualcosa che non comprendo. La malga chiude, conta i soldi. Tanti. La luna ancora sotto la montagna. I cuccioli di mucca riaccompagnati nella stalla, soli, le madri lontane. Anche il vecchio ragazzo è ormai lontano, piange. Che strano quel ragazzo, la barba antica, le lacrime continue. Nessuno può sentirlo: Il sentiero gli tiene compagnia. Cammina. La luna inizia a illuminare i suoi passi. Il sentiero sale, sale fino alle rocce. Il vecchio ragazzo si volta verso la conca più in basso, mille metri più giù, nell’oscurità. Il laghetto rumoreggia, sembra salutarlo, ma lui, non lo sente. Dicono che sia sordo, altri dicono che sia matto, ma non è così, io lo conosco. Non sente da tanto tempo. Non sente il rumore stridulo delle gomme delle automobili, le campane delle chiese, i microfoni della comunità. Non sente più. Ma vede lontano quanto il gheppio dietro la cresta.

Vede solo il piccolo recinto…

Fonte: Frecce in Versi

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